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Oltre la notte la distanza tra giustizia e vedetta

Katja sognava una vita serena con la propria famiglia, ma quel sogno viene spezzato a causa di un attentato, in Germania, che le strappa il marito Nuri e il figlio Rocco. La donna, in un primo momento, si affida a Danilo Fava, suo legale e amico di Nuri e riesce ad affrontare il processo e a reagire apparentemente all’accaduto, anche grazie al sostegno di parenti e amici, processo durante il quale è costretta ad affrontare ogni particolare di quel tragico evento; la giustizia, però, troppo lenta, non sempre sta dalla parte delle vittime perchè la difesa tenta in tutti i modi di screditare la sua testimonianza e di mettere in dubbio l’integrità morale del marito che in passato è stato uno spacciatore. Katja si è data all’uso di stupefacenti e, col passare del tempo, si abbandona alla disperazione e all’abisso. Un giorno - mentre si trova di fronte al mare in compagnia della solitudine e nell’attesa che si riaprano le porte del tribunale perchè, forse, sono state trovate nuove prove - decide di cercare ossessivamente gli assassini dei propri cari, trasformandosi in un angelo vendicatore e di far provare alla coppia di neonazisti accusati di aver innescato la bomba lo stesso dolore e tormento che lei stessa ha dovuto sopportare fino a un epilogo poco consolatorio per chi non lo fraintende.

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Katja, una moglie, una madre e, soprattutto, una donna. Una donna che si trasforma, fisicamente e psicologicamente, trasfiguarata dal dolore perché il nuovo film di Fatih Akin di questo vuole parlare: di come il dolore può essere devastante e senza fine. Ad Amburgo - città natale del regista di origini turche - (così come in altri luoghi del mondo) sono stati messi in atto attentati terroristici che hanno squassato le esistenze di molte, troppe persone. In particolare, in Germania tra il 2000 e il 2007, si sono verificati alcuni omicidi di persone di nazionalità non tedesca e i media li avevano etichettati come gli “omicidi del kebab”, identificandoli come regolamenti di conti all’interno della comunità araba. Col tempo, invece, si venne a scoprire che si era trattato di esecuzioni da parte di gruppi di estrema destra, di una cellula nazista chiamata NSU. Questa la cronaca dell’attualità. Akin parte da queste vicende per allargare il discorso. Certo, porta gli spettatori a una riflessione sulla deriva della società occidentale verso posizioni sempre più intolleranti e violente nei confronti degli stranieri e sulla debolezza dello Stato (con la lunga parte centrale del racconto che ben sottolinea le lungaggini, gli errori e l’ipocrisia di chi dovrebbe tutelare i cittadini e assegnare pene congrue ai criminali), ma non si vuole fermare a questo. Con Oltre la notte il discorso si fa universale: una persona che ha subìto un forte e inaspettato trauma può anche non trovare la forza di elaborarlo e rimane, così, bloccata all’interno di una gabbia psicologica ed emozionale in cui dominano soltanto abbandono e rabbia. Katja (una immensa Diane Kruger, vincitrice del Premio come Miglior attrice protagonista all’ultima edizione del Festival di Cannes e che qui recita per la prima volta nella sua lingua madre), dimagrisce, non si prende cura di se stessa, i capelli restano sporchi, il viso tirato, gli occhi gonfi, immediatamente dopo la tragedia. Poi sembra riprendersi, sembra più tranquilla, luminosa. Sembra...perché il tempo ha covato la disillusione, perché le menzogne hanno moltiplicato la sua furia in maniera esponenziale, perché il senso di solitudine (anche istituzionale) ha essiccato anche le sue lacrime. E allora che giustizia sia fatta, ma a modo suo. La narrazione è come divisa in tre parti, di tre registri diversi: la prima, in cui si raccontano i fatti, la seconda in cui viviamo la sofferenza silenziosa della protagonista durante un dibattimento poco corretto; e per questi segmenti Akin sceglie una regia contenuta. Poi inizia la terza parte, in cui lo stile cambia del tutto, diventando quasi quello di un action-movie, dove Katja si trasforma in un’eroina (per alcuni): e qui sta il nucleo della riflessione che ci impone il racconto cinematografico.

La donna è l’alter ego dell’autore e anche noi siamo chiamati a chiederci come ci saremmo comportati al posto di Katja e se, al culmine della disperazione, scivolati nel fade, nel buio più assoluto, si possa comprendere la giustizia “fai da te”. È chiaramente anche una questione politica, ma l’intento principale è quello di farla rimanere una questione umana, molto umana. Intanto ad Amburgo continua a piovere: sono lacrime perché anche il cielo piange quando gli individui si spogliano della propria Umanità.


Alessandra Montesanto

Il ragazzo Selvaggio, anno XXXIV n. 128

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