Dolcissime: la leggerezza della rinascita

Sognare è come lasciarsi cullare dall’acqua. Vaghi leggera, senza pensieri. Nel sogno, come sott’acqua, siamo tutti uguali, ci muoviamo con leggerezza dimenticandoci per un attimo del mondo circostante. Il sogno di Mariagrazia, Chiara e Letizia è quello di essere viste per quelle che sono dentro, e non per i chili in più. Nuotano, danzano, si sentono libere di essere loro stesse, senza circondarsi di quella bolla di sapone che le isola dagli altri, un guscio protettivo creato e induritosi nel tempo per lenire le offese e gli attacchi ricevuti. Una barriera che è anche zavorra, che le ragazze si portano sulla schiena come i chili che le fanno sudare, mozzare il respiro, colare a picco nell’oceano delle proprie tempeste.
Nuotano Mariagrazia, Chiara e Letizia. Nuotano per dimenticarsi dell’onda anomala che le accoglie, investendole, sotto forma di sguardi indiscreti e facce impietosite. Nuotano per scacciare via, bracciata dopo bracciata, i pensieri, le insicurezze. Nuotano per ottenere una rivalsa personale grazie a uno sport come il nuoto sincronizzato, attività fatta di grazia ed eleganza che anche loro, etichettate dal mondo come “balene” e “ciccione”, dimostrano di poter eseguire con coraggio e determinazione.
Quella raccontata da Francesco Ghiaccio e Marco D'Amore (il Ciro Di Marzio di Gomorra) non vuole solo essere un manifesto sull’auto-accettazione sfruttando uno sport a squadre come il nuoto sincronizzato, ma si tramuta in istantanea generazionale di conflitti interiori e mille insicurezze per un corpo che vediamo pieno di difetti, mentre i rapporti famigliari si fanno sempre più conflittuali e tesi. Sono tratti universali che accomunano ogni adolescente, ma che ogni ragazzo sente proprio e unico rispetto agli altri. Debolezze che oggi, nell’età degli smartphone, della tecnologia e dell’essere iper-connessi, colpiscono e affondano più che mai, esacerbati da video su Instagram, stati su Facebook, offese su Twitter impossibili da cancellare. Rimangono impressi come tatuaggi sulla pelle, insidiandosi tra le fessure di un’anima lacerata e già scheggiata.
Nella sua semplicità Dolcissime narra una storia di facile immedesimazione perché strettamente legata alla società che l’ha ispirata. Eppure ci sono dei passaggi così intensi e dalla forte carica empatica che meritavano un’indagine introspettiva più approfondita. Forse per la paura di appesantire un film che nasce per essere leggero e fresco, Ghiaccio e D’Amore hanno puntato sul semplice accenno a tematiche importanti (vedi la paura di esibirsi per il proprio fisico, o l’incapacità di scattarsi una semplice foto da inviare al ragazzo che ti piace) per concentrarsi sulla voglia di rivincita e di rinascita delle proprie protagoniste.
Le inquadrature ampie comunicano il senso di solidarietà che lega le tre amiche: un microcosmo sostenuto da analoghi timori e insicurezze nel quale entrerà ben presto anche Alice, la nemica-amica capace con la sola presenza di rivoluzionare questo piccolo universo. Sono campi di ripresa larghi, come ampia è la piscina che accoglie la maggior parte delle scene. L’elemento acquatico si fa fonte vitale; come nel grembo materno le tre ragazze si accovacciano, si abbracciano, si muovono traendo da esso quella linfa vitale necessaria per rinascere. La carica poetica delle immagini si scontra spesso con la superficialità di certi dialoghi, non sempre all’altezza della bellezza vantata dal comparto visivo.
La volontà di conquistare l’attenzione di un pubblico giovane, interpellandolo con l’uso di battute e uno slang a lui famigliare, crea un elemento dialogico di poca profondità, non sempre rafforzato da performance attoriali in grado di esaltarlo nei suoi punti di forza. Sebbene tutte dotate da una raffinata e dolce mimica espressiva, Giulia Fiorellino, Margherita De Francisco, Giulia Barbuto Costa Da Cruz e Alice Manfredi non riescono a nascondere il loro essere attrici alle prime armi, sottolineando la semplicità di una scrittura a tratti forzata e poco naturale.
Ciononostante Dolcissime si mostra come un’opera onesta e didatticamente imprescindibile soprattutto per l’uso che fa del corpo delle sue protagoniste: un corpo mai oggettivato, ma paragonato a un contenitore di sogni e desideri di accettazione. Un meccanismo perfetto dove ai chili di troppo viene sostituito un cuore che batte, mentre le braccia e le gambe nuotano famelici alla ricerca di vita.
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