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Cyrano mon amour, il film che racconta la nascita di un capolavoro della letteratura francese

1895. Edmond Rostand è un poeta francese che si è trasferito a Parigi con la moglie e il figlio in cerca di affermazione. La sua pièce teatrale La Principessa Lontana è un vero fiasco, anche se gode della presenza della diva Sarah Bernhardt. Passano due anni, Edmond e Rosemonde hanno un altro bambino e di successi neanche l’ombra. Scarseggiano i soldi, Edmond è perciò costretto a mettersi a servizio dell’attore Coquelin, che ha diversi contatti con gli impresari, per tornare sulle scene con un’opera nuova.

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Rostand vorrebbe scrivere una tragedia, ma i gusti del pubblico, orientati sulla commedia di Georges Feydeau, gli impongono la ricerca di un soggetto brillante. Pressato da Coquelin, dall’impresario e dai capricci degli attori, promette di aver già elaborato un’opera i cui singoli atti presenterà alla compagnia a poco a poco durante le prove. Il tempo scarseggia, gli imprevisti sono continui e Rostand, senza idee, trova due aiuti insperati: la cultura enciclopedica del nero Honoré, proprietario di un bistrot, che gli consente di scrivere in pace e Jeanne, una giovane sarta allieva di un noto costumista che, per un divertente equivoco, diventerà la sua musa. Tutto sembra andar male, nonostante la febbrile scrittura di Edmond, ma alla fine la compagnia trionferà il 28 dicembre 1897 con l’immortale Cyrano de Bergerac. Divertente e arguta genesi - romanzata - di un capolavoro.


In occasione dell’esame di letteratura francese mi recai, su suggerimento di un’amica, a vedere il Cyrano di Corrado D’Elia al Teatro Libero di Milano. Scarso entusiasmo per me che non ho particolare affinità con il teatro, solo la preparazione scolastica necessaria per affrontare il colloquio che mi attendeva. Fu un’autentica rivelazione invece e, dopo circa 15 anni, recensisco con piacere questa commedia brillante, che muove dalle stesse premesse di quello spettacolo: un interessante esperimento di metateatro o di metacinema - il confine è sottile - che attualizza senza strafare uno dei testi di punta della letteratura europea. Proviene infatti dall’omonima pièce del giovane regista (Michalik ha 35 anni) che la trasforma in un film dove tributa il suo affetto per l’autore del Cyrano de Bergerac, Edmond Rostand. Alexis Michalik stesso entra in scena interpretando la parte dell’avversario principale dell’allora sconosciuto Rostand, il borioso e celebre Georges Feydeau.

Tra mafia corsa, prostitute riciclate come comparse, diritti dei neri, problemi di denaro e crisi della cultura, si susseguono in una vorticosa girandola scene divertenti che pesano tutte sulle spalle del giovane autore, in cerca di ispirazione e messo alla prova da continui contrattempi. Piano piano prende forma un canovaccio che Edmond scrive di notte, intessuto degli incontri rocamboleschi che gli capitano durante la giornata. La sua musa è una dolce costumista, innamorata del suo migliore amico attore, per conto del quale scrive magnifici versi poetici, diventando consapevole strada facendo che questo desiderio di stare con lei, di amarla, mai soddisfatto per fedeltà alla moglie e all’amico, sono di fatto la spinta che fa sgorgare le parole giuste per comporre il suo nuovo spettacolo. È lui Cyrano o, meglio, è lui la mente fervida del moschettiere, capace di parlare in poesia, leale e brillante al tempo stesso.

Agli spettatori accorti vengono in mente almeno due film con atmosfere simili e con simili ambientazioni storiche: Midnight in Paris di Woody Allen e Neverland di Marc Forster. Con il primo questo film condivide il fascino per quella Parigi da cartolina, divisa tra can-can e scoperta del cinematografo, che ha fatto sognare il mondo tra fine Ottocento e inizio Novecento, dove era possibile incontrare altrettanti geni: Rostand ha brevi scambi con Checov, alcuni pittori e i fratelli Lumière.Con il secondo condivide l’ansia di uno scrittore, in quel caso James Matthew Barrie, nel cercare ispirazione e nell’incarnare al tempo stesso lo spirito del suo personaggio, che lo consacrerà ad autore di fama.

Da sempre al cinema interessa indagare la genesi dei capolavori, la fatica e la disperazione dei loro autori, uomini comuni sotto molti punti di vista, con famiglia al seguito e problemi quotidiani da risolvere, ma portati costantemente in un “altrove” dove tutti gli altri non possono seguirli. L’altrove può essere reale o metaforico: Rostand trova rifugio nel retrobottega del bistrot di Honoré, una fornita biblioteca segreta, ma anche nel silenzio delle sue passeggiate notturne, nell’isolamento del pensiero davanti alla pila di fogli ancora bianchi.

Un atto d’amore verso il teatro, un microcosmo dove si ricreano le stessse dinamiche sociali e private, il tributo a un’opera cara a ogni Francese, il saluto a una fine di secolo ricca di promesse, un augurio di rinnovate e fertili contaminazioni artistiche, attori splendidi tutti perfetti nella parte.

Cecilia M. Voi

Il ragazzo Selvaggio, anno XXXV n. 135

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