Favolacce

Periferia di Roma, estate, clima vacanziero, tensioni familiari represse. La scena è illustrata da una voce narrante che racconta di un diario ritrovato tra i rifiuti. Spiccano alcune figure: i Placido, papà Bruno e mamma Dalia, la cui felicità è in equilibrio sulla costante violenza psicologica e fisica che il padre nutre a scapito di Dennis e Alessia, i sin troppo quieti figli. C’è poi la famiglia Rosa, con papà Pietro che proietta lo stress del suo piccolo successo lavorativo sulla bellezza dell’introversa figlia Viola. C’è il più modesto Amelio Guerrini, che fa il cameriere e vive in un camper assieme al figlio, il timido Geremia, al quale è legato da un affetto quasi infantile. C’è poi Ada, poco più di una ragazzina, che è incinta di un ragazzo col quale cerca una via di fuga.
I ragazzini vivono passivamente la loro estate e seguono i precetti del Professor Bernardini, strano insegnante che a suo modo sembra capire la loro silenziosa infelicità. Favolacce pare un film adulto sull’infanzia, ma è piuttosto uno sguardo disperato dell’infanzia sull’età adulta. Ma in realtà il punto focale sta proprio nel tenere separati i due mondi, come fossero due condizioni esistenziali estranee tra loro e soprattutto estraniate dalla realtà.
I fratelli D’Innocenzo disconoscono sia stilisticamente che contenutisticamente ogni possibile realismo, attingendo al malessere esistenziale di una periferia proletaria imborghesita. Lo sguardo tradisce qua e là un malcelato senso di pietà per tutti i personaggi e, per quanto la narrazione non sfugga dall’annichilimento che le loro azioni generano, il punto di contatto tra la loro solitudine e il disadattamento relazionale cui sono soggetti produce il senso dissonante e straniato che caratterizza il film. Il dramma dei personaggi è rappresentato nella distanza abissale che si apre tra loro e il mondo in cui vivono.
Favolacce ha la consistenza di un impasto di stati d’animo indefiniti che induce una riflessione sulla condizione umana. Per individuare la fonte di tale spaccato i D’Innocenzo seguono i vari tracciati esistenziali con un empatico cinismo che si fa carico dell’irresolubile dissidio dell’esistere: il film non fa sconti ai personaggi e nemmeno allo spettatore, insistendo su una regia che adotta sempre la prospettiva più spietata e al contempo umana. Sono queste scelte a segnare la tara del peso morale del film, la capacità di ridefinire uno status etico per lo sguardo dello spettatore.
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